Archeologi, notai e musicisti

Prima che il nuovo romanzo di uno scrittore sia dato alle stampe, il testo è sottoposto a correzioni, limature, revisioni continue; l’autore, soprattutto nel caso di pubblicazioni importanti, è affiancato da un esercito di editor, o curatori editoriali, e correttori di bozze. Se a tutto questo aggiungiamo l’aiuto che oggi viene dai programmi di correzione automatica, è ragionevole pensare che incontrare un refuso in una nuova pubblicazione di un certo livello sia virtualmente impossibile.
E per la musica, soprattutto la musica del passato, che cosa succede?
Ogni musicista sa bene che le moderne edizioni critiche delle composizioni di Beethoven, Schubert, Schumann o Chopin sono piene di riferimenti a fonti diverse (autografi, copie manoscritte, prime edizioni apparse nei vari Paesi), ognuna delle quali propone, per determinati passaggi, versioni diverse del testo musicale. Alcune di queste differenze fra le fonti sono il risultato di ripensamenti e revisioni dello stesso compositore: in questi casi, quindi, l’esecutore è chiamato a scegliere fra versioni diverse, ma tutte legittime, dal momento che, se è vero che l’ultima parola dell’autore dovrebbe essere quella a cui dare più valore, la prima stesura può però avere una freschezza e un’immediatezza che è giusto far conoscere.
Tuttavia, nella maggioranza dei casi, le differenze sono il risultato della correzione di errori, di un affinamento della scrittura in vista della pubblicazione o, all’opposto, la conseguenza di una lettura sbagliata delle fonti primarie da parte di chi ha curato l’edizione.
Ma ci può essere anche il caso in cui l’errore nella scrittura sia proprio del compositore, un errore originario, quindi. Come si fa a riconoscere un errore del genere? Per il linguaggio verbale è tutto molto più semplice: un errore di ortografia può capitare, ma anche un bambino alle elementari dovrebbe avere gli strumenti per riconoscerlo.
Con la musica è tutto più sfumato: una buona conoscenza dell’armonia, del linguaggio del compositore, un’osservazione attenta della condotta delle parti dovrebbero metterci nella condizione di saper capire quale sia la versione corretta. Eppure, capita che persino un’ottima edizione come la Bärenreiter riporti nel quarto dei Momenti musicali di Schubert, alla battuta 78, un fa bemolle alla mano destra, che è palesemente un errore, perché fa letteralmente a pugni con un mi bemolle della mano sinistra.

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Tanto più che, nel passaggio analogo poco successivo, alla battuta 86, per la mano destra è correttamente indicato il re bequadro, non bemolle. Il punto è che diversi pianisti, evidentemente indotti in errore da un’edizione in cui hanno riposto una fiducia totale, suonano fa bemolle la prima volta e re bequadro la seconda, forse pensando che Schubert abbia voluto introdurre intenzionalmente una variazione fra le due frasi musicali.
In questo caso, per dirimere la questione, non serve lo studio comparato delle fonti, né aiuta mettersi ad esaminare la partitura con l’occhio dell’archeologo o del notaio: basta vedere che, nella battuta 78, come nella battuta 86, l’accordo è una settima di dominante, e non esiste un solo caso in cui Schubert, o qualsiasi compositore almeno fino a Debussy, scriva un accordo di settima in cui l’undicesima (o la quarta) suoni simultaneamente alla terza. A meno che non sia una quarta aumentata. Quindi suonate fa bequadro (quarta aumentata). E non fidatevi di un’edizione ritenuta buona più di quanto vi fidiate delle vostre orecchie.

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